Quando pensiamo al benessere di un neonato, probabilmente le prime cose che ci vengono in mente sono: tenerlo pulito, sazio, tranquillo, ad una corretta temperatura corporea ecc, pensiamo alla soddisfazione di bisogni fisiologici.
Anche il neonato però ha una sua vita emotiva, ed una storia emotiva che inizia dalla gravidanza ed anche prima, lui in utero percepiva l’emotività della mamma, le sue variazioni di cuore, tensioni etc.
Tutte le pratiche sopra citate influiscono sulla “relazione di attaccamento”, che i genitori instaurano col piccolo, e senza il quale un bambino non potrebbe sopravvivere.
Le azioni quotidiane che pratichiamo con un neonato, come tenerlo in braccio, cullarlo, parlargli, guardarlo negli occhi, sorridergli, consolarlo se piange, allattarlo, accudirlo in modo adeguato e sensibile ai suoi bisogni hanno un incredibile impatto sul suo sviluppo, sulla costruzione delle fondamenta della sua mente.

Tutto questo ha a che fare con quella che gli psicologi definiscono “relazione di attaccamento”, ovvero “il modo di entrare in relazione” tra genitori e figli, che durante le primissime fasi della vita di ognuno di noi, si configurano come centrali per impostare un buon rapporto con il mondo, improntato cioè a fiducia e sicurezza, o al contrario, basato sull’insicurezza e la mancanza di fiducia nell’altro.

Una buona relazione di attaccamento è dunque fondamentale per consentire all’individuo di sviluppare una sana autonomia e sicurezza di base, indispensabili ingredienti per la salute ed il pieno benessere psico-fisico, nel presente, ma anche in tutti gli anni a venire.
Potremmo dire che la gestazione non termina con la nascita, oggi si parla infatti di endogestazione e di esogestazione. Per “endogestazione” si intende il periodo che va dal concepimento alla nascita, in cui la gestazione ha come ambiente l’utero materno. Per “esogestazione” (L. Braibanti), si intende invece il periodo che segue la nascita del bambino, la sua evoluzione grazie all’interazione con l’ambiente e le relazioni affettive che instaura con chi si prende cura di lui. Questi due termini ci fanno riflettere su come tra la vita intrauterina e quella successiva alla nascita ci sia un profondissimo legame, e quali possano essere, di conseguenza i bisogni dei neonati. Un bimbo appena nato, è totalmente incapace di sopravvivere senza un legame profondo, un legame in cui aspetti fisici ed emotivi sono importanti in egual misura. Il cucciolo d’uomo è il più immaturo di tutti i mammiferi, ha bisogno di anni e anni di amorevoli cure per raggiungere la cosiddetta “indipendenza”.

Partendo dagli studi di Alessandra Bortolottti, si può affermare che spesso lo stato emotivo di un neonato, viene invece trascurato, anche a causa di pregiudizi sociali (se lo tieni in braccio lo vizi, lo abitui alle braccia, deve dormire da solo etc etc). Il legame tra mamma, bambino in cui pian piano si inserisce anche il papà è legato ad un meccanismo di sincronizzazione simbiotica che la natura ha creato per far si che la mamma ed il papà possano rispondere ai bisogni dei propri figli, che iniziano durante la gravidanza, e continuano dopo il parto. I neonati hanno tutti gli stessi bisogni, ma questi possono assumere una notevole variabilitá nell’espressione della loro intensità, per questo è fondamentale la sintonizzazione del genitore, perchè grazie ad essa, egli può “sentire”, di cosa ha bisogno suo figlio, bypassando il pensiero razionale ed accedendo direttamente alla dimensione più istintuale della relazione, è lui il vero esperto di suo figlio.
Un bimbo che nasce, ha già conosciuto la vita emotiva della madre nella fase intrauterina, ed è dotato di una propria vita emotiva. Questo ha come conseguenza che proteggere lo stato emotivo della madre, può influenzare la crescita e lo sviluppo del feto. Gli studi di neuroscienze degli ultimi decenni, stanno dimostrando grazie a solide basi scientifiche, come un aspetto fondamentale per il benessere del neonato sia infatti l’attenzione al suo mondo interiore, alle sue emozioni e che il legame affettivo che si instaura nel corso della gestazione e successivamente alla nascita, è importante tanto quanto gli aspetti biologici e genetici.

Riguardo al bisogno di contatto, è interessante sapere che le ricerche della psicoanalista inglese Sue Gerhardt hanno dimostrato come i bambini che hanno avuto un costante contatto fisico con i genitori, che sono stati spesso tenuti in braccio, che hanno avuto un infanzia caratterizzata da relazioni affettive solide, da adulti, avranno un’abbondanza di recettori per il cortisolo, che è l’ormone che produciamo quando siamo stressati (l’ormone dello stress), ciò significa che possono molto più facilmente gestire situazioni di stress.
I bambini allevati nelle società ad alto contatto (come Africa, India etc), non conoscono le coliche, non piangono quasi mai, hanno una percentuale di malattie mentali estremamente bassa, e negli adulti si registra una minore aggressività (E. Balsamo).

I primi due anni di vita sono infatti quelli in cui il cervello si sviluppa più velocemente, più che raddoppiando il suo volume. E’ questo il momento in cui si registra la crescita cerebrale più veloce rispeto a qualunque altro periodo della vita. In questi primi due anni di vita sono proprio i fattori ambientali e di relazione a dare un grandissimo contributo a questo sviluppo.
Non è un caso che l’emisfero cerebrale che matura prima, sia quello destro, che è fortemente connesso al sistema limbico, cioè la nostra parte più istintuale, la parte più antica del nostro cervello, quella che elabora le emozioni, e rimane dominante nei primi 3 anni di vita, mentre l’emisfero sinistro, collegato alla razionalità, al linguaggio, inizia la sua maturazione solo dai 18 mesi in poi.
Ecco perchè diventa vitale, che un genitore recuperi la capacità di usare il suo istinto, per potersi sincronizzare sui bisogni emotivi di suo figlio, e che questi non vengano considerati dei vizi, ma delle necessità, dei bisogni.
Se un neonato chiede di essere preso in braccio, protesta quando viene messo nella culla, non si tratta di un “furbetto viziato”, come spesso si sentono dire i genitori, da parenti ed amici che si ergono ad esperti non appena arriva in casa un bebè. Il neonato ha bisogno di quel contatto, in quanto è predominante nel suo momento evolutivo, il bisogno di una relazione affettiva, non mediata dalla razionalità, che arriverà successivamente. Poi ci sarà tutta una gamma di variabili individuali che renderà alcuni neonati molto più bisognosi ad esempio, di contatto e accudimento rispetto ad altri.
Non è un caso che i tre anni, siano spesso l’età soglia in cui molti bimbi cominciano a dormire tutta la notte, si staccano da soli dal seno se allattati (A. Bortolotti), in cui iniziano a comparire le competenze sociali.

La frustrazione di molti genitori che vorrebbero “far ragionare” i loro bimbi piccoli, convincerli a dormire da soli nel loro letto quando protestano, abituarli a stare nel passeggino etc, deriva proprio dal voler usare la razionalitá (emisfero sinistro) la’ dove ha la prevalenza l’emotivitá (emisfero destro), ecco perché la sintonizzazione con il neonato dovrebbe essere emotiva, istintiva, prima che razionale. In un epoca in cui fioccano i corsi per tutto: dall’ accudimento, allo spannolinamento, all’addormentamento, allo svezzamento etc, potrebbe essere utile recuperare la propria competenza, non mediata dal sapere razionale, “fidarsi di se stessi”, quella competenza istintuale che tutti gli esseri viventi hanno, rispetto all’accudimento della propria prole.

Mentre molti neonati riescono a sviluppare un attaccamento interscambiabile con madre e padre, alcuni neonati manifestano da subito un grandissimo bisogno di contatto in particolare con la mamma, e questo potrebbe rendere difficile ad alcuni papá, instaurare da subito un rapporto con il piccolo. Questi papá potrebbero percepire un sentimento di esclusione dalla coppia madre figlio. Anche se in alcuni casi il legame padre figlio viene posticipato, la funzione del papá in quel momento ha una enorme importanza per garantire e proteggere la relazione madre bambino, facendo da filtro con l’ambiente; a tale riguardo, Alesandra Bortolotti, ha metaforicamente paragonato la funzione del papà in questa primissima fase della vita neonatale, a quella della placenta in gravidanza. E’ noto come detto sopra che, soprattutto al primo figlio, le pressioni sociali siano notevoli nei confronti dei neogenitori. Questa funzione protettiva rappresenterá un vantaggio anche per il futuro rapporto padre figlio, in quanto essendo stato libero di curare il suo rapporto con la madre, questo bimbo sará pronto a costruire serenamente il suo rapporto col papà.

Anche l’allattamento materno, si inserisce nella relazione madre bambino, non soltanto come atto di nutrizione, ma come una importante occasione di scambio affettivo, una “base sicura” in cui il bambino fa esperienza relazionale (A. Bortolotti), in questo senso é un grande strumento di promozione del benessere. Momento di ricongiungimento, che si colloca in quella fase di esogestazione, in cui il bimbo, per iniziare a percepire la propria individualità, deve paradossalmente riunirsi, essere contenuto dalla mamma, ed iniziare a percepire i limiti del suo corpo, il confine tra la sua pelle e quella della madre.

Se ci pensiamo, contrariamente al luogo comune che vuole un bimbo allattato, un bimbo “dipendente” dalla mamma, rispetto al latte in formula, il latte materno ha la caratteristica di rendere il bimbo autonomo nella scelta di quanto e quando nutrirsi, scelta che con la prescrizione di tot ml di latte, proposto ad orari stabiliti, viene a mancare. Anche questo contribuisce a riconoscere al bimbo “competenza”, e la possibilità di sperimentare tanti sapori e odori quanti saranno quelli che il latte materno assumerà, via via che la dieta della mamma cambierà, e che gli consentirà, al momento dello svezzamento, di avere già familiarità con i sapori del cibo che gli sarà proposto di volta in volta.

La stessa autonomia legata all’allattamento possiamo ritrovarla nella possibilità dell’alimentazione secondo i principi dell’autosvezzamento, che non è altro che un recupero di quanto si faceva nel mondo, prima della comparsa del baby food. Scegliere cosa mangiare, soddisfare la propria curiosità, il senso del tatto, sperimentare consistenze sempre diverse, consentirà al bimbo di costruire un rapporto col cibo equilibrato e sereno.
Sarebbe quindi utilissimo, alla luce delle riflessioni fatte, che la nascita venisse considerata, non come l’inizio di una separazione tra madre e bambino, ma che si favorisse il ricongiungimento tra i due, quell’esogestazione, basata sul bisogno fondamentale del neonato di ricongiungersi alla madre e soddisfare quei bisogni che gli consentiranno di divenire un individuo sereno e sicuro di sè.

Angela Marchetti psicologa – psicoterapeuta – psicotraumatologa EMDR